Glenmore – Meterialized (Polydor, 1993)


Altra band fondamentale per capire il potenziale della scena teutonica di quel periodo, sono senz'ombra di dubbio i defunti Glenmore, formazione legata agli Heaven's Gate dal talent scout Frank Bornemann, chitarrista degli Eloi, nonché proprietario della Metromania Publishing, il quale, dopo aver prodotto il demo di debutto della band, e li aveva incensati con l'appellativo di “risposta tedesca ai Queensryche”.
Titolo che, naturalmente, i cinque tedeschi portavano con vanto, potendo contare sul talento del chitarrista Rüdiger Fleck, con un trascorso nei melodic rockers Letter X, ed sul singer Rüdiger Fleck, vero cavallo di razza di una line-up che, prendendo spunto da quanto proposto dai maestri di Seattle, si inoltrava all'interno di un percorso sonoro che risultava essere posto proprio al confine fra quelle atmosfere progressive di fondo, accenti melodici ben calibrati, ed aperture classic metal delux, per un risultato finale che, soprattutto in questo loro esordio sulla lunga distanza, seppe catturare l'attenzione di molti estimatori.
Un suono magniloquente e regale avvolge l'atmosfera quasi patinata di questo platter che, siamo nel 1993, rappresenta una sana boccata d'ossigeno in un periodo nel quale l'heavy rock, inteso come genere musicale, non attraversava un ottimo periodo di forma, strapazzato com'era da fenomeni da baraccone che ne oscuravano la stella del firmamento.
E a colpire nel segno sono proprio quei brani nei quali viene fuori il vero talento dei cinque musicisti chiamati in causa, con le perle piazzate in apertura, vale a dire la spettacolare “Hungry”, dominata da un riffing vorticoso e da un tappeto di tastiera mai invadente, o la successiva   “Speak to me”, con le sue venature sottolineate da movenze melodic metal, anche se sono le scansioni soffuse della splendida “The voice”, autentico scrigno progressive metal, da una parte, ed il crescendo corale di “Don't live the life of a stranger”, con i suoi imponenti chiaroscuri classici, dall'altra, a porre l'accento su un album che, lo ribadiamo, dovrebbe essere nella discografia di ogni metalhead che si rispetti al di la del genere preferito.
“For the Sake of Truth” di un anno più tardi rafforzerà ancora di più le ottime qualità peculiari di una band che, solo qualche mese più tardi, si perderà nell'oblio dei talenti inespressi, non prima del colpo di coda a nome Rawed Rexx.... si ma questa è un'altra storia....
(Beppe Diana)  

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